da Padre Renato
Natale a Greccio...1223-2023
Nel
profondo

La sala del palazzo di messer Giovanni era gelata, in
quella fosca alba di Dicembre. I servi non avevano
ancora acceso né camino, né bracieri, e non
l’avrebbero fatto ancora per un po’, impegnati
com’erano ad aiutare il padrone di casa a vestirsi per
scendere e accogliere l’inatteso arrivo dei tre frati
assisani. Fratello Leone era stanco. Il viaggio era
durato poco, nonostante la distanza. Tanto in fretta
Francesco aveva voluto raggiungere Greccio. Si era
fatto accompagnare da due fratelli, Leone appunto, e
Corrado, trafelati e perplessi lungo tutto il
tragitto: poche pause, più silenzioso del solito, con
una strana luce negli occhi, quella dei grandi eventi,
fratello Francesco sembrava avesse desiderato arrivare
il prima possibile. Anche la sua preghiera quella
mattina, era stata strana: non che proprio corresse
nella recita dei salmi, ma certo era andato veloce,
pochi stacchi di silenzio, nessuna meditazione o
riflessione.
“Te lo dico io – gli aveva detto, con quel suo sorriso
simpatico, Corrado – ha in mente qualche cosa. Si è
stancato di tutto e di tutti, e ha in mente qualche
cosa…”.
Fratello Leone sapeva a che cosa si riferiva: papa
Onorio III da pochi giorni aveva approvato la Regola,
che, dopo infiniti rifacimenti, limature,
stravolgimenti, aveva ricevuto la bolla pontificia
d’approvazione. Quanto ci aveva pianto Francesco su
quella manciata di parole, quanto dolore: quanto
diversa dalla precedente Regola così lunga e ricca di
Parola di Dio. Quanto diversa da quel “vogliamo
vivere secondo il Santo Vangelo” dei primi tempi:
poche parole, e scarne, ma che avevano soggiogato
persino Innocenzo III, papa della Chiesa e terrore dei
sovrani di tutta la Cristianità, turbando il suo
sonno, generandogli sogni. Quest’ultima invece, quante
energie era costata a Francesco, quante
preoccupazioni, quanto strazio! Vedendo soprattutto i
suoi frati, i suoi figli, che non solo lo estenuavano
con continue richieste di colloquio, che altra
motivazione non avevano se non quella di tirarlo dalla
loro parte, ma che, per di più, Zelanti contro Dotti –
nomi che sapevano di fazione – si sbranavano a
vicenda: “Devi ripudiarli, Francesco – essi gli
dicevano gli uni degli altri – devi cacciarli”. Già,
cacciare dei fratelli… Proprio quello che aveva sempre
insegnato! Francesco soffriva, soffriva e piangeva,
soprattutto la notte di nascosto, quando si ritirava a
pregare nei boschi, tra le rocce. Nel pianto
scioglieva tutta l’amarezza di quegli incontri, di
quelle pretese, di quelle richieste… Ma non era un
pianto benefico, come quello di chi si sfoga e poi
vede le cose con maggior lucidità. No. Era un pianto
tristo il suo, che si nutriva della sensazione del
fallimento e si tormentava per la certezza
dell’incapacità di trovare una soluzione; così il suo
cuore, lacerato da mille pensieri, usciva da quelle
veglie ancora più stanco, ancora più prostrato. E
quando Leone, fedele segretario, lo avvisava di una
nuova richiesta d’udienza, leggeva negli occhi
dell’amatissimo padre, un dolore feroce che gli
mordeva le carni, nel profondo.
“Leone!” gli sussurra Corrado “Francesco ti vuole”. Si
affretta la pecora di Dio, alza gli occhi e
arrossisce, sentendosi già in colpa per aver indugiato
troppo nei suoi pensieri. Si pone al fianco di
Francesco, proprio mentre messer Giovanni sta
entrando. Saluti, convenevoli e un po’ di latte caldo
e mostaccioli, per tutti. Poi fratello Francesco
parla.
“Voglio celebrare a Greccio, l’imminente festa del
Signore. Vorrei fare memoria di quel Bambino che è
nato a Betlemme e in qualche modo mostrare
visibilmente i disagi in cui si è trovato per la
mancanza delle cose necessarie per un neonato: come fu
adagiato in una mangiatoia, scaldato dal fiato di un
bue e un somarello”. Leone si fa piccolo – “Ecco il
motivo!” – Corrado sorride.
Messer Giovanni, buono e fedele, si mette subito al
lavoro. Il posto designato era noto a Francesco: nel
bosco fuori paese, tra alberi fitti e secolari, c’è la
grotta in cui il Poverello si era ritirato una volta a
pregare. Lì Francesco mostrerà al mondo l’amore Dio,
che pronuncia la sua Parola più vera, suo Figlio che
si fa uomo, debole carne; si fa infante, parola che
non parla, per annunciare a tutti gli uomini il suo
disegno eterno: renderci tutti figli suoi, figli di
Dio. Noi: debole carne condannati a sparire, chiamati
a essere eterni. Il Figlio che annuncia – con la sua
nascita, con la sua croce – che anche noi siamo figli
della risurrezione.
E giunge il giorno tanto atteso. Per l’occasione
Corrado e Leone hanno convocato frati da varie parti:
con loro arriva a Greccio tanta gente. Fiaccole,
lampade e torce illuminano quella notte, che
rischiarò con il suo astro tutti i giorni e tutti i
tempi. Per ultimo arriva Francesco, sorridente e
commosso. Nella grotta tutto è pronto: un asinello e
un bue, una greppia con il fieno e un piccolo bambino
di cera che giace nella mangiatoia. In quella scena
si onora la semplicità, si esalta la povertà, si loda
l’umiltà. Greccio è diventata una nuova Betlemme.
Nella notte chiara come il giorno riecheggiano le lodi
al Creatore, si canta l’amore del Dio Bambino: la
gente accorre e assapora una gioia inesprimibile.
Francesco è li, davanti alla mangiatoia: estatico,
commosso, pervaso da una felicità mai provata prima.
Leone al suo fianco lo osserva. Dov’è il dolore
patito, il senso di sconfitta, lo strazio del temuto
fallimento? Sembrano scomparsi: nel corpo, sul volto
di Francesco solo gioia: per la salvezza mostrata e
celebrata, per i suoi fratelli lì raccolti, per la
gente lì accorsa. Per quel bimbo donato, accolto,
proclamato. “Un bambino è nato per noi, ci è stato
donato un Figlio”. Per sempre. Mai più soli, mai
più sconfitti, mai più disperati.
In questa atmosfera si celebra la messa e Francesco
vestito da Diacono, canta con voce forte e dolce il
Vangelo: “… lo avvolse in fasce e lo depose…non
c’era posto per loro nell’albergo… Non temete: oggi è
nato per voi un Salvatore… andarono e lo trovarono e
felici se ne tornarono…”. Poi il Poverello
d’Assisi parla al popolo e con parole semplici e
straordinarie rievoca il neonato Re povero e la
piccola città di Betlemme.
Leone non smette di guardare Francesco, la sua pace,
la sua felicità. E così la gente, gli occhi dei
bambini, dei poveri… Poi guarda Corrado e lo vede
piangere di gioia: gli confiderà poi il giovane
fraticello di aver avuto come una visione. Guardava la
mangiatoia ma era triste perché vedeva dentro un
bambino privo di vita: scena di estrema tristezza,
appunto, in quella cornice di felicità. Ma a un tratto
Francesco si avvicinava, lo prendeva in braccio e
risvegliava il neonato da quel terribile sonno
mortale. Né questa visione discordava dai fatti
perché, a opera della sua grazia che agiva per mezzo
del suo servo Francesco, il fanciullo Gesù fu
risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano
dimenticato e fu impresso profondamente nella loro
memoria…
Certo nella vita – pensa Leone, pecorella di Dio – ci
saranno ancora giorni di grande fatica per il suo
fratello Francesco, per lui, per Corrado, per tutti
gli uomini… Giorni di lavoro, d’incomprensioni, di
scontri, di peccato, di dolore… Ma la luce ha
brillato tra le tenebre: mai più tristi nel
profondo. Mai più.
fra Renato (rivisitando Tommaso da Celano, FF 466-471)

Con questo scritto voglio augurare un vero Natale
cristiano a te, a chi ami, per tutto ciò e quelli che
ti stanno a cuore e Buon Anno 2024 nel Signore.
Nel profondo. |